Motivi dell’astrazione
Dalla fine dell’Ottocento si andò sviluppando una nuova concezione di arte che tendeva a rifiutare la riproduzione del reale. Già con gli impressionisti si cercò una formula per superare la forma naturale dell’apparenza e catturare l’essenza della natura. È l’epoca delle grandi scoperte scientifiche: oltre la fotografia che rivoluzionerà i campi della percezione, la fisica giungerà a scomporre la materia in energia e atomi e la scoperta della radioattività scuoterà le basi dell’immaginazione scientifica del mondo. A tutto questo si aggiunge la catastrofe della prima guerra mondiale che cambierà radicalmente il modo di concepire la vita e con essa l’arte. La perdita di fiducia nella società moderna, la perdita della speranza in un futuro, gettò gli artisti alla disperata ricerca di un Paradiso perduto. In tutte le epoche gli artisti vivono le mancanze della coscienza morale di una data società e ne rivestono l’aspetto formale con nuove espressioni e nuove fogge nel tentativo di evitare la depressione dovuta all’assenza di risposte da parte dell’ambiente in cui vivono. In un’epoca in cui si parlava di disgregazione dell’atomo in ‘particelle’ non è strano che tra gli artisti si volesse superare la forma naturale dell’apparenza per catturare l’essenza del processo creativo. Per Kandinskij non era necessario un motivo concreto per fare arte, e alludeva alla ricerca e rappresentazione di ‘risonanze’ e ‘vibrazioni’. Intorno al 1911 le sue opere si erano lasciate alle spalle ogni riferimento al mondo reale. In ceri ambienti si ricercava una creatività libera da condizionamenti e sovrastrutture, un mondo pre-logico e pre-categoriale riconosciuto come matrice delle cose date in una forma originaria. Paul Klee diceva che il suo interesse era rivolto più alle “facoltà formatrici che non ai prodotti formali”. Si guardò pertanto con sempre maggiore interesse al disegno infantile come alla manifestazione di quella creatività ricercata. Jung parlerà di questa ricerca come di un “viaggio attraverso la storia dell’anima umana che ha come scopo quello di ricostruire l’uomo nella sua totalità (1932) “L’arte è intimamente connessa con lo spirito dei tempi”, dirà ancora Jung, e anche “l’arte è profetica”, perché ci parla dei nostri umori, degli stati profondi. Quando per esempio “ci si trova in uno stato caotico, tutte le forme si dissolvono”, tutto si disintegra. “Che cosa dice dunque quest’arte? Quest’arte è una fuga dal mondo percettivo, dalla realtà esterna, visibile” (1955). Quando entrò in scena l’arte moderna, Jung vi scorse un interessante problema psicologico, “un elemento fortemente innaturale riconducibile ad insofferenza per la contemporaneità”. Quell’arte che aveva “perduto la fede nella bellezza”, potrà avere un valore positivo “nella misura in cui esprime una tensione verso ciò che è primario (…) Ma la dissoluzione esige una sintesi…”
Anche la mancanza di interesse per l’aspetto estetico è dovuto, secondo Jung, alla tendenza dell’artista moderno a creare le sue opere lasciandosi guidare dall’inconscio, senza cioè preoccupazioni o speculazioni formali. Il suo interesse è massimamente rivolto al “contenuto significativo” del prodotto. Dal punto di vista psicologico, ci fa notare Jung, questo atteggiamento ha le sue controindicazioni perché se è vero che l’aspetto formale ed estetico di un’opera artistica può portare a una sua sopravvalutazione a scapito della comprensione del suo contenuto, è pur vero il contrario, e cioè che la sola tendenza alla comprensione ne può sopravvalutare il contenuto, privandolo del suo carattere estetico-simbolico. Ancora una volta due tendenze opposte che Jung definirà “deviazioni”, di cui occorre sottolineare il pericolo “perché la sopravvalutazione delle raffigurazioni create dall’inconscio è di solito assai grande, a causa della precedente, altrettanto eccessiva, “sottovalutazione” dei medesimi prodotti”. (1957, op.8)
Anche per la generazione americana del dopoguerra, che aveva sopportato la crisi economica mondiale e quella dei valori umani, si faceva urgente esprimersi al di là delle forme di pensiero. Le tecniche adottate in Europa dal Surrealismo come la scrittura automatica, assunsero un ruolo valutabile nella sua soggettività assoluta. Molti artisti si concentravano sull’atto del dipingere senza più sostegni o riferimenti. Se i surrealisti avevano mostrato la strada prendendo spunto dalla psicanalisi, dai sogni e dalla libera associazione, ora l’azione sarà ripulita da qualsiasi riferimento, completamente disinibita, libera da forme progettate, aperta alle possibilità dell’agire umano e dove la tela sarà un campo di energia immediata in cui “cogliere il presente”.
È stato detto che la ‘pittura d’azione’ americana esprimeva la crisi della società e dell’arte. Barnett Newman, dal canto suo sosteneva che il soggetto estremo della pittura è l’essere umano stesso, e sosteneva anche che la sua generazione esprimeva un mondo di emozioni e fantasia in virtù di una pittura non convenzionale e senza riferimenti alle forme conosciute; in questo senso, diceva, la pittura espressionista americana degli anni Quaranta e Cinquanta è da considerarsi una pittura veramente astratta, mentre la generazione europea immediatamente prima della loro, con i loro ‘cubismi’ e ‘surrealismi’ ci conducono ancora in un mondo spirituale attraverso immagini che per quanto distorte sono ancora riconoscibili. Artisti come Mirò, Mondrian o Kandinskij non negano la natura, vogliono trascenderla rappresentandone le leggi matematiche più pure, e per fare ciò sono sempre costretti a partire dall’immagine reale per ricreare l’equivalente di purezza geometrica. I pittori americani “creano una realtà diversa per arrivare a insospettate immagini. Partono dal caos della fantasia e del sentimento puri, da ciò che non ha alcun noto equivalente fisico, visivo o matematico e da questo caos emozionale traggono immagini che conferiscono una realtà a queste entità intangibili. Non è necessaria alcuna lotta per raggiungere il fantastico attraverso il reale (…) Cioè, da un punto di vista filosofico, il pittore europeo si interessa della trascendenza degli oggetti, mentre quello americano si interessa della realtà dell’esperienza trascendentale.”
(Thomas B. Hess: Barnett Newman – Ed. Walker and Company, New York, 1969)